
C’è un salto di qualità nel paradigma della guerra per il ri/posizionamento globale delle superpotenze. Lo esplicita il discorso del presidente Joe Biden in visita il 3 maggio scorso alla Lockheed Martin, la più grande fabbrica di armamenti al mondo, negli stabilimenti di Troy in Alabama nella quale si producono i missili javelin inviati massicciamente dal governo USA a quello ucraino. Per il contesto specifico in cui è pronunciato, la gravità delle parole e l’informalità dei modi esplicita chiaramente il paradigma, che Limes chiama dello “scontro tra imperi” – iniziato dopo l’abbattimento del muro di Berlino dai “vincitori” della “guerra fredda” con l’attacco NATO a Belgrado nel 1999 e il relativo “bombardamento non accidentale dell’ambasciata di Cina a Belgrado” del 7 maggio – giunto, tra colpi e contraccolpi sui vari scacchieri del pianeta (Afganistan, Iraq, Siria, tra gli altri), all’invasione militare dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin dello scorso 24 febbraio, che ha decretato nuovamente “la fine della pace in Europa” (Limes, n.3/2022). Poiché il discorso di Biden – a dispetto della vision che veicola – è stato poco raccontato nel nostro paese, ne propongo di seguito alcuni stralci salienti (qui la versione integrale), ai quali aggiungo le riflessioni conseguenti.
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