Ho incontrato di persona e parlato una sola volta con Alex Langer, in un incontro pubblico svolto a Messina in occasione – se la memoria non m’inganna – delle campagna elettorale per le elezioni europee del 1989, nelle quali io votai per la prima volta per i Verdi e lui fu eletto al Parlamento europeo e successivamente alla presidenza del gruppo parlamentare del Sole che ride di Strasburgo. Ciò che ricordo con chiarezza è che – da studente di filosofia, alla ricerca di parole che dicessero l’essenza – fui colpito dal suo ragionamento e dalla sua visione che, senza fronzoli ed artifici retorici, andavano alle questioni essenziali ed all’essenza nelle questioni, connettendo locale e globale, etica e politica. Non solo l’impegno per una politica ecologica ma anche per una ecologia della politica, a servizio dell’urgenza di rendere il mondo un posto migliore e non dell’indice di gradimento nel prossimo sondaggio. Per questo, da allora – seppur non sempre condividendo fino in fondo tutte le sue prese di posizione pubbliche – non ho più perso di vista Alex Langer, fino al tragico epilogo del 3 luglio del 1995. Tuttavia solo dopo ne ho approfondito davvero il pensiero e l’impegno, che non solo anticipavano le questioni ancora essenziali per noi, qui ed ora, ma già davano – oltre venticinque anni fa – le risposte fondamentali alle domande per le quali si mobilitano oggi i giovani in ogni parte del mondo. Continua a leggere
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Non lavare le atrocità coloniali dalla nostra coscienza: istituire la Giornata della memoria delle vittime del colonialismo italiano
L’abbattimento delle statue di colonizzatori e razzisti, a cominciare da quelle di Cristoforo Colombo, che è iniziato negli USA e diffusosi in Europa, a cura del movimento Black Lives Matter – al netto degli inutili eccessi – ci dice, ancora una volta, che nel processo di evoluzione della civiltà ciò che appare giusto e sacrosanto ai contemporanei può diventare ingiusto ed aberrante per i posteri. La schiavitù, la caccia alle streghe, il razzismo, il colonialismo – seppure ancora presenti in molte parti del mondo – da valori condivisi sono diventati disvalori combattuti. Sarebbe bene che anche la guerra, prima o poi – con un necessario, ulteriore salto, di civiltà – subisse questo processo di storicizzazione e di esclusione dal novero delle relazioni umane accettate. Ed allora anche in Italia potremo fare a meno di piazze della “Vittoria” e di vie dedicate a generali macellai. Come Luigi Cadorna, per esempio.
Nel frattempo il movimento iconoclasta antirazzista, giunto anche nel nostro Paese, ha imbrattato la statua di Indro Montanelli per l’aver acquistato una bambina da stuprare – secondo la pratica del “madamato” – durante la partecipazione all’occupazione militare dell’Etiopia da sottotentente dell’esercito italiano, scatenando un furioso dibattito sui media e sui social sull’opportunità del gesto rispetto ai presunti meriti giornalistici successivi, per i quali era stato eretto il monumento. Tuttavia il tema vero, a mio avviso, non è tanto quello specifico legato alla biografia di Montanelli, ma che il nostro Paese non abbia ancora fatto i conti con il violento e feroce colonialismo – nazionalista, fascista e razzista – che insegnò ai nazisti la pratica stragista, i campi di sterminio e l’uso dei gas – dentro al quale si inquadra la stessa vicenda personale di Montanelli – che riguarda un’intera generazione di italiani “brava gente”, alle cui gesta infami sono ancora dedicate vie e piazze in tutta Italia. Quelli che – come ricorda lo storico Angelo Del Boca nel suo Italiani, brava gente? – furono “uomini comuni, non particolarmente fanatici. Uomini che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione, o perché persuasi di essere nel giusto eliminando coloro che ritenevano barbari o subumani”. Le cui gesta causarono, si calcola, almeno 500.000 vittime solo nel continente africano. Continua a leggere
Il Giorno della memoria e i giorni del presente
Sono stato ad Auschwitz nell’agosto del 1990. Non c’erano ancora i Viaggi della memoria ne’ il Giorno della memoria (che sarà istituito dalle Nazioni Unite solo nel 2005), il muro di Berlino era stato abbattuto nel novembre dell’anno precedente, Tadeusz Mozowiecki era stato nominato da pochi mesi primo capo del governo polacco non comunista ed io ero uno studente di filosofia dell’Università di Messina. Con un gruppo di amici e compagni, con i quali avevamo partecipato durante qull’anno accademico al movimento studentesco della Pantera – approfittando di una convenzione tra l’università siciliana e le università polacche, che ci consentiva di dormire nelle sovietiche case dello studente – decidemmo di fare un viaggio estivo nella Polonia che muoveva i primissimi passi nella democrazia post-sovietica e nell’economia capitalista. La attraversammo per un mese da sud a nord, da Cracovia a Danzica, in treno con un biglietto interail. E, naturalmente, facemmo tappa anche al campo di sterminio che rese noto al mondo il paese di Oswiecim, Auschwitz in tedesco. Continua a leggere