Molti avranno visto Don’t look up il bel film di Adam McKay, con Leonardo di Caprio e Jennifer Lawrence nel ruolo di due scienziati statunitensi che scoprono l’imminente impatto di una cometa con la Terra, le cui dimensioni sono tali da comportare la distruzione di qualsiasi forma di vita sul pianeta, ma vengono ignorati e costretti al silenzio dalla presidente degli Stati Uniti, messi alla berlina dal circo mediatico al quale si rivolgono per allertare i popoli e, mentre le cometa si avvicina pericolosamente, la campagna negazionista guidata dalla stessa Presidente conia lo slogan don’t look up, non guardate in alto. Appunto. Si tratta di un film del 2021, straordinaria anticipazione artistica del momento che stiamo attraversando, come si è visto tragicamente e plasticamente a cavallo tra il 24 e il 25 gennaio scorsi, a quasi un anno dall’invasione russa dell’Ucraina.
Quella che segue è la prefazione al libro di Saverio Morselli, instancabile costruttore di pace di Reggio Emilia, che mi ha chiesto di scrivere per la sua ricostruzione della storia del Gruppo di lavoro per la Pace di Reggio Emilia, quel “manipolo di audaci” di cui è stato punto riferimento. Ha lavorato a questo testo prezioso per la storia del movimento pacifista reggiano, e non solo, fino ai suoi ultimi giorni. Non ha potuto vederne la pubblicazione, ma in queste pagine – oltre che nella memoria di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo – ci ha lasciato una lezione per continuarne l’impegno seguendo il suo esempio perché, come scrive, “l’impegno per la pace non può essere considerato qualcosa di occasionale e fugace, destinato a scemare in breve tempo, ma un ambito dove indirizzare con continuità e convinzione il nostro tempo, le nostre energie intellettuali e fisiche”.Oggi più che mai
La mia conoscenza di Saverio Morselli si innesta in verità dalla fine della storia raccontata in queste pagine, ma le modalità con le quali è avvenuta ne condividono in qualche modo l’inizio. Saverio ricorda la sua prima riunione “politica” in via dell’Aquila 2, allora sede del PdUP (Partito di Unità Proletaria, nome che evoca un mondo ormai rimosso), che ospitò gli incontri di quello che avrebbe preso il nome di “Gruppo di lavoro per la pace”. Qui si reca in un pomeriggio del 1983, pur non conoscendo quasi nessuno dei partecipanti, se non Ettore Guidetti che lo aveva invitato a partecipare, per capire se sarebbe stato “in grado di abbandonare il ruolo di spettatore per cimentarsi in quello di attore” nella vita pubblica cittadina. Anche io partecipai dieci anni dopo – in una sera del 1993, se la memoria non m’inganna – ad una riunione del Cendip (il Centro di documentazione e informazione per la pace) di cui Saverio era il presidente, che aveva sede in via Vittorangeli 7, senza conoscere nessuno dei partecipanti. Trasferito da poco a Reggio Emilia, avevo letto degli incontri al Cendip in un volantino recuperato da qualche parte e volevo capire – analogamente a Saverio dieci anni prima – se avrei potuto dare una mano attiva al “movimento pacifista” di questa città, come avevo fatto precedentemente a Messina nel mio periodo universitario. Mi sentii accolto da tutti. Della personalità di Saverio, che pian piano cominciai a conoscere e stimare, mi colpirono fin da subito l’intelligenza acuta, la mitezza di carattere, l’argomentare lucido.
People attend a rally for peace in Rome, Italy, 05 November 2022. The rally was organized by the Europe for Peace movement, calling on all countries to get rid of nuclear weapons and reduce military expenses in favor of aid to the poor on November 05, 2022 in Rome, Italy. (Photo by Andrea Ronchini/NurPhoto) (Photo by Andrea Ronchini, Ronchini / NurPhoto / NurPhoto via AFP)
[Articolo pubblicato sulla rivista Missioni Consolata, edizione cartacea e on line]
Nel tempo del pericolo nucleare, i decisori politici e l’opinione pubblica sono prigionieri della logica binaria che non vede alternative alla violenza per rispondere alla violenza (e «vincere»). È necessario rimettere al centro i principi e i saperi della resistenza nonviolenta. Prima che sia tardi
Di questi tempi bisognerebbe rileggere il libro I sonnambuli dello storico Christopher Clark che descrive tutti coloro che avevano le leve del potere e dell’informazione nel 1914 come sonnambuli, apparentemente vigili, ma incapaci, in realtà, di rendersi conto che stavano conducendo il mondo nel baratro di quella «grande guerra» che papa Benedetto XV avrebbe definito «l’inutile strage».
A giudicare dalle scelte fatte e reiterate dai governi rispetto alla guerra in Ucraina, e dalle posizioni veicolate dalla maggior parte dei mezzi d’informazione, un’analoga epidemia di sonnambulismo sembra contagiare anche i decisori e i media di oggi.
Essi, infatti, fanno scelte ed esprimono posizioni non all’altezza dei tempi che attraversiamo, perché prive di consapevolezza della «situazione atomica» nella quale siamo immersi.
Siamo come gli «utopisti al rovescio» de Le tesi sull’età atomica del filosofo Gunter Anders: «Mentre gli utopisti non sanno produrre ciò che concepiscono, noi non sappiamo immaginare ciò che abbiamo prodotto». Siamo incapaci di superare la distanza che separa la capacità distruttiva delle armi nucleari da quella di generare pensieri, discorsi e azioni consapevoli e responsabili. Soprattutto in questo varco critico della storia, nel quale la minaccia atomica viene brandita come mai prima….
Note a margine dell’azione degli attivisti di Ultima generazione all’ingresso di Palazzo Madama
Prima premessa: la dichiarazione di Ultima generazione, l’organizzazione che ha pittato l’ingresso di Palazzo Madama il 2 gennaio scorso è del tutto condivisibile tanto nelle motivazioni del gesto e quanto nella scelta di fondo della “disobbedienza civile nonviolenta”, dentro alla quale s’inquadra l’azione specifica: “Alla base del gesto, la disperazione che deriva dal susseguirsi di statistiche e dati sempre più allarmanti sul collasso eco-climatico, ormai già iniziato, e il disinteresse del mondo politico di fronte a quello che si prospetta come il più grande genocidio della storia dell’umanità.” Sulla loro pagina web il comunicato continua con la dichiarazione di un’attivista: “Ho scelto e continuerò a scegliere di compiere azioni di disobbedienza civile nonviolenta perché sono disperata. Ovunque guardi vedo dissociazione, negazione, alienazione rispetto alla crisi climatica. (…) Non possiamo illuderci che fare la raccolta differenziata e partecipare a cortei organizzati sia sufficiente. È, di conseguenza, proprio al governo e alle istituzioni che rivolgiamo la nostra rabbia di protesta…”.