
Nei giorni scorsi ho appreso la notizia della morte del professor Andrea Canevaro, straordinaria figura di pedagogista dell’Università di Bologna, educatore di generazioni di educatori, che ho avuto la fortuna di incontrare molte volte nella mia professione educativa. Una di queste è stata al Convegno nazionale “Progettare futuri” che svolgemmo al Teatro Ariosto di Reggio Emilia dal 24 al 26 marzo del 2003, pochi giorni dopo l’inizio dei bombardamenti occidentali su Baghdad con i quali partiva l’illegale e pretestuosa occupazione militare dell’Iraq (20 marzo), con il diretto coinvolgimento italiano, che avrebbe provocato centinaia di migliaia di morti tra i civili. Mi colpì, in quella occasione, che Canevaro sentì – come sentii anch’io che intervenivo come educatore – il bisogno di modificare il tema dei suoi interventi rivolti ad una platea di educatori e centrarli proprio sulla menzogna della guerra, sulla sua funzione diseducativa, al contrario dell’educazione ai conflitti, e sul bisogno di alzare una barriera educativa contro la violenza.
Andrea Canevaro: la vergogna e la menzogna della guerra
“Parto proprio dalle guerre e da questa che da pochi giorni ci ritroviamo” – diceva Andrea Canevaro (Oggi in Progettare futuri. Pensieri, esperienze, passioni nella progettazione educativa territoriale, EGA, 2004, a cura di Alfonso Corradini) – “Tra i tanti danni che fanno c’è anche il grave danno di mettere da parte la ricerca della verità e di promuovere le menzogne, di dare le false semplificazioni degli schemi contrapposti: amico-nemico, carnefice-vittima, onnipotente-impotente. Questa è la falsificazione della verità che sta dilagando nelle nostre case e che avuto una lunga preparazione”.(…). Accettazione di conflitto e capacità di dialogo camminano insieme e vediamo che l’incapacità del conflitto porta alla guerra. Il conflitto inteso come capacità di confronto, come necessità di ragionamento, di ragionare, di far ragionare, di ascolto diventa l’elemento importante. Se invece si rifiuta il conflitto si va in guerra.(…) Rubo un tempo brevissimo per citare alcune parole di un narratore importante, Nuto Revelli. Nuto, che ho la gioia di conoscere e sentire spesso, è un grande educatore, di quelli che non hanno un titolo. Lui era ufficiale, aveva frequentato l’accademia a Modena negli ultimi anni del fascismo, poi aveva partecipato alla guerra di Russia e subito aveva pensato che la guerra fosse una vergogna, e dovremmo saperlo anche in questi giorni. La guerra è una vergogna e non ci si può abituare, per cui Nuto aveva cominciato a notare e appuntare il perché è una vergogna e non voleva diventare come altri che la vivevano con una banalizzazione continua della morte, della puzza, degli orrori. L’aspetto della menzogna continua, soprattutto questo, credo che sia quello che sta emergendo anche in questi giorni, perché le guerre sono la cancellazione delle verità, la necessità di fingere, di raccontare delle cose non vere, di giustificare con delle menzogne. (…) L’ultimo libro di Nuto Revelli Le due guerre: guerra fascista e guerra partigiana è anche un’insegna della vergogna della guerra, per cui è intonato a questi giorni e sarebbe bello che avesse una bella diffusione e fosse molto conosciuto. Chiedo scusa se ho speso troppo tempo, ma ho sentito la necessità di far capire che non siamo indifferenti a quel che accade, abbiamo il desiderio di non far passare niente senza ricordarci che dobbiamo vergognarci per quello che sta accadendo e che dobbiamo alzare una barriera contro la violenza, contro la menzogna.”
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