
Oltre a tutte le conseguenze sanitarie, in questa pandemia si stanno manifestando anche conseguenze sociali e culturali a causa delle quali – se nessuno se ne prende cura – rischiamo seriamente di uscirne più incattiviti di come vi siamo entrati.
Rispetto al tema dei vaccini, per esempio, si sono delineati due schieramenti granitici, incapaci di dialogare e di riconoscere reciprocamente le preoccupazioni degli altri, che vengono invece omologati in etichette onnicomprensive, che annullano la complessità e le articolazioni: si vax o no vax, senza mediazioni. Con insulti reciproci che raggiungono, da entrambe le parti, iperboli comunicative inascoltabili: dalla Meloni e altri nostalgici del fascismo, che parlano di “dittatura sanitaria”, a Zingaretti che, con un’insopportabile metafora bellica, paragona chi ha timore di vaccinarsi ai disertori di guerra (come se non fosse proprio la diserzione l’unica scelta giusta nella guerra, quella vera, non metaforica). [Già qui avevo provato a de-costruire le metafore belliche come narrazione della pandemia].
Non dico di ripassare la Filosofia del dialogo di Guido Calogero o il Principio dialogico di Martin Buber, ma almeno qualche manuale sulla gestione nonviolenta dei conflitti di Pat Patfoort, per non affrontare ogni tema delicato, attinente a questioni fondamentali – come, per esempio, la tutela della salute e dei diritti civili di tutte e di tutti – come una guerra (appunto). Da cui ne usciremo, magari vivi, ma sicuramente peggiori.
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