A dispetto dell’aggettivo “universale” che definisce da alcuni anni il Servizio civile, nelle selezioni che in questi giorni vedono impegnati 125.268 candidati solo 55.793 giovani saranno scelti per dare il proprio contributo alla difesa non armata e nonviolenta del Paese, corrispondenti ai posti finanziati con le risorse messe in campo dal governo per quest’anno. Alla maggioranza di loro sarà detto “no, grazie, questo Paese non ha bisogno del tuo impegno civile”. Ma è proprio Così? Ossia di quale difesa abbiamo davvero bisogno? Per difenderci da quali minacce?

Due modelli di difesa
Sul piano legislativo il Sevizio civile universale – come recita la legge istitutiva (d. lgs. 6 marzo 2017, n. 40) con riferimento agli articoli 11 e 52 della Costituzione, e in continuità con la legge istitutiva del Servizio civile nazionale (L. 64/2001) – è “finalizzato, alla difesa non armata e nonviolenta della Patria, all’educazione, alla pace tra i popoli, nonché alla promozione dei valori fondativi della Repubblica”. Ma questa conquista giuridica che riconosce il SCU come modalità di difesa del Paese – che affonda le radici della storia dell’obiezione di coscienza al servizio militare – invece, non è affatto acquisita sul piano culturale, politico ed economico. Ossia questo Paese ha nel proprio ordinamento due modelli di difesa – la difesa militare e la difesa civile, cioè “non armata e nonviolenta” – ma solo uno dei due viene trattato davvero come strumento di difesa nazionale, quello militare; l’altro viene trattato come strumento di “politica giovanile” (ancorché unica nazionale degna di questo nome), se non addirittura come mero ammortizzatore sociale. Questo dato emerge chiaramente sul piano economico.
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