Annotazioni per disarmare la cultura, il linguaggio e l’educazione

E’ probabile che la nonviolenza necessiti proprio di un commiato dalla realtà

così com’è al momento costituita,

al fine di dischiudere le possibilità di un immaginario politico rinnovato

Judith Butler

[La forza della nonviolenza. Un vincolo etico-politico]

1. Disarmare la cultura

Lidia Menapace – partigiana e nonviolenta – che ci ha lasciati nei giorni scorsi, diceva spesso che, per una trasformazione nonviolenta della società, il primo passaggio è quello di “disinquinare il linguaggio politico da tutto il simbolico violento e militare” di cui è impregnato: se si chiede “ad un politico professionista di parlare senza metafore belliche, non arriva alla fine della prima frase, perché se non può dire tattica, strategia, schieramento, scendere in campo, alzare la guardia, abbassare la guardia ecc.” non sa come esprimersi. Ma questa ecologia del linguaggio riguarda tutti, aggiungeva Lidia Menapace, a cominciare dai media: “le attività umane sono molteplici, si possono prendere metafore dall’agricoltura, dall’artigianato, dalla tecnologia e scartare proprio quelle belliche”, escludendo – anche dal linguaggio – l’extrema ratio della guerra.

E tuttavia la violenza nelle parole e nei comportamenti discende dalle altre dimensioni della violenza, a partire dagli impliciti culturali che la prevedono. Spiega Johan Galtung – creatore del metodo Transcend per la trasformazione nonviolenta dei conflitti – che al di sotto ed a fondamento della violenza diretta (quella delle guerre, degli omicidi, dei comportamenti) ci sono altri due livelli di violenza: quella strutturale (che comprende l’economia, le leggi, il modello di sviluppo) e quella culturale, ancora più profonda che legittima le altre due, la più difficile da contrastare perché impregna di sé i significati profondi condivisi (come il patriarcato, il razzismo, il militarismo…).

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Attraversando il covid. Dieci brevi note di cura e consapevolezza

Dieci brevi note scritte da positivo al covid, in isolamento da due settimane con sintomi importanti, seppur non da ospedalizzazione e, per fortuna, ormai in miglioramento. Dieci note, come dieci tappe di un percorso di consapevolezza, oltre che di cura.

1. Il covid-19 c’è e viaggia tra di noi, attraverso noi

2. Quanto meno noi facciamo attenzione a lui, tanto più lui fa attenzione a noi

3. Non è un’influenza un po’ più seria, ma – se sintomatica – è un’influenza molto più insidiosa che, da un momento all’altro, può evolvere in una situazione disperata

4. Se questo non avviene sempre o almeno avviene meno di quanto potrebbe potenzialmente accadere (nonostante le centinaia di morti al giorno, che non sono numeri ma persone che lasciano i propri cari) è perché c’è una sanità pubblica, anche territoriale, che ancora tiene – soprattutto in alcuni territori, come l’Emilia Romagna dove vivo – nonostante anni sfascio sanitario in parti importanti del Paese

5. Nella maggior parte dei casi, il funzionamento della sanità pubblica è lo spartiacque tra la salute e la malattia, anzi tra la vita e la morte

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