Krippendorff e la critica dell’istituzione militare

Apprendo della morte di Ekkehart Krippendorff, il grande politologo tedesco, pacifista, che ho conosciuto nei seminari del Movimento Nonviolento su “Politica e Nonviolenza”. Nel 2003, appena uscita in italiano,  avevo letto la sua raccolta di saggi L’arte di non essere governati. Politica etica da Socrate a Mozart e successivamente l’edizione italiana (meritoriamente pubblicata da Gandhi Edizioni nel 2008) del suo fondamentale testo degli anni Ottanta del ‘900 – ormai un classico della critica politica – Lo Stato e la guerra. L’insensatezza delle politiche di potenza. Per ricordarlo, o farlo conoscere, ripubblico qui, ancora una volta, un mio articolo del 2011 che riassume, riprendendone alcuni passaggi, il suo saggio serio ed efficace Critica dell’istituzione militare. Le cui tesi sono valide oggi più che mai.

Perché, pur in un momento di crisi e di ossessiva invocazione del rigore nel bilancio dello Stato, non si tagliano le spese militari? Perché, nonostante i drammatici tagli alla spesa pubblica imposti dal governo, solo flebili voci – per lo più extraparlamentari e marginali – chiedono una stretta a queste folli spese di morte che pre/vedono dei costi abnormi? Perché, per la stragrande maggioranza di forze politiche, sindacali, mediatiche non è assurda la crescita di questo unico capitolo di spesa pubblica, ma è assurda la richiesta che venga tagliato? Talmente assurda che non si pongono neanche il problema? Continua a leggere

Mario Baricchi e Fermo Angioletti, per esempio

A cento anni della fine della “grande guerra”, ancora a Reggio Emilia per costruire le alternative alla guerra nel ricordo dell’eccidio antimilitarista

Tra i tanti anniversari di questo 2018 probabilmente il più importante è la fine della “grande guerra”. Il 4 novembre del 1918, con la proclamazione della “vittoria”, finisce l’immane tragedia della prima guerra mondiale, che lascia sul terreno d’Europa quasi 17 milioni di morti. Dei quali un milione e trecentomila italiani e la metà di questi civili. Ma per qualcuno, in Italia, la guerra era finita tragicamente ancora prima di iniziare. Per esempio per i giovani antimilitaristi reggiani Mario Baricchi e Fermo Angioletti, uccisi dal “regio esercito” il 25 febbraio del 1915 mentre contestavano all’esterno del Teatro Ariosto il comizio interventista di Cesare Battisti. Mario e Fermo furono i primi di una lunga schiera di renitenti, obiettori e disertori italiani chiamati a uccidere e morire nella più folle di tutte le guerre e invece passati per le armi dai soldati compatrioti agli ordini del “macellaio” generale Luigi Cadorna. Continua a leggere