Ancora su papa, pugni, educazione nonviolenta. E memoria
Si è fatto un gran parlare nei giorni passati dell’ormai famosa frase del papa ai giornalisti, a commento delle tragiche vicende di Parigi: se qualcuno “dice una parolaccia contro la mia mamma è normale che si aspetti un pugno”. A me – educatore e formatore che cerca d’impegnarsi nella ricerca nonviolenta – i commenti apparsi più interessanti sono stati quelli di Moni Ovadia, “questa battuta in sostanza mira ad evitare la contrapposizione tra cristiani e musulmani”; di Sergio Manghi “per accedere alla pace e al perdono bisogna passare per il conflitto e non fuggirlo. Anche Gandhi non sarebbe d’accordo, la non violenza non è la non azione”; di Mao Valpiana “una parola può essere violenta se detta senza carità, e un pugno può essere amorevole se mosso da carità (pensiamo alle famose “cinghiate” date da don Lorenzo Milani ai suoi amatissimi figlioli di Barbiana)”; di Monica Lanfranco “O s’insegna in famiglia, scuola, chiesa e dopolavoro una cultura del rispetto, del ripudio della violenza (dalle parole ai gesti), o presto si arriva a superare quella soglia, quel limite, che trasforma il faticoso ma fecondo terreno del conflitto nella rapida e mortale guerra”. A me la frase del papa, ed i commenti successivi, hanno fatto tornare in mente un episodio della mia fanciullezza… Continua a leggere