Sulla Siria, il nostro “che fare?”

Sulla grave situazione internazionale condividiamo la nota integrale del Movimento Nonviolento

Questo non è un appello. Non è una petizione. Non raccogliamo firme, né cerchiamo consensi.
Vogliamo solo offrire qualche spunto di riflessione per il dibattito che si sta sviluppando al seguito dei “venti di guerra” che provengono dallo scenario internazionale che oggi ci consegna una sponda del Mediterraneo in fiamme, dalla Siria alla Libia, dall’Egitto al Libano (oltre naturalmente alla Palestina). Sull’altra sponda del Mediterraneo si affacciano i paesi occidentali, compresa l’Italia, impotenti sul piano politico, ma molto attivi sul piano del commercio delle armi, che vanno ad alimentare i massacri. In fondo al Mediterraneo ci sono migliaia di profughi in fuga dalle guerre.download (11)

Noi possiamo fare poco o niente sul piano immediatamente efficace per impedire il massacro. Nessuna sacrosanta richiesta ai potenti di fermare la guerra ha restituito la pace ai popoli. Non è accaduto a Belgrado, né a Baghdad, né a Kabul e nemmeno a Tripoli. Non accadrà a Damasco. Nè è nostro compito scegliere le parti per le quali parteggiare – tra dittatori di lungo corso, militari golpisti e fondamentalisti jihadisti – laddove la verità è sempre la prima vittima delle guerre e le responsabilità tra oppressori e oppressi non sono separabili con l’accetta. Quel che possiamo e dobbiamo fare nell’immediato è stare dalla parte delle vittime, accogliere e portare soccorso, alleviare le sofferenze, salvare singole vite. E’ già molto, ma non basta. Come non basta condannare l’intervento armato e i suoi mandanti. E’ necessario, ma non basta. Continua a leggere

La vera colpa del soldato Manning

Ripiegati sulle vicende surreali di casa nostra seguite alla condanna definitiva di un ex capo di governo frodatore del fisco, i media italiani non hanno posto sufficiente attenzione alle gravi implicazioni sul rapporto tra potere e informazione di un’altra condanna: quella stabilita da un tribunale statunitense per il soldato Bradley Manning a 35 anni (!) di carcere militare, con l’accusa di “spionaggio”. Ma, si badi, non “spionaggio” a beneficio del nemico, accusa dalla quale è stato assolto, ma a beneficio dei propri cittadini, per aver diffuso documenti riservati al fine di informare sui crimini commessi in guerra dal loro Paese. Ossia, Manning è stato considerato criminale per aver operato un disvelamento della faccia criminale delle guerre in corso in Iraq ed Afghanistan.Bradley_manning-wikileaks-406x270

Ripercorriamo sinteticamente i fatti. Nel 2010 il ventitreenne soldato Manning, operativo a Bagdad con le truppe di occupazione USA, in quanto esperto informatico, ha il compito di fare l’analisi dei flussi di informazione, avendo così accesso a documenti riservatissimi, relativi anche a specifici episodi di guerra. In particolare si imbatte nei cosiddetti “effetti collaterali” della guerra, scoprendo che spesso “collaterali” non sono affatto. Riesce a venire in possesso, tra le altre cose, del video che riprende l’uccisione deliberata di un gruppo di civili – tra i quali due bambini e due giornalisti della Reuter – da parte di soldati USA. Decide che quel materiale, che racconta il vero volto della “missione di pace” è necessario che sia conosciuto dall’opinione pubblica. Cerca, in un primo momento, di comunicare con i grandi giornali americani, come Washington Post e New York Times, per passare le informazioni, ma questi non rispondono. A quel punto contatta Wikileaks, che il 5 aprile 2010 diffonde questo video della strage, “Collateral Murder”: Continua a leggere

E se contro le violenze educassimo alla nonviolenza? Come in Francia.

Non c’è da stupirsi se il Paese che ha inventato il fascismo, la mafia, il leghismo e il berlusconismo – e di tutto ciò è ancora pienamente intriso – è un Paese culturalmente violento in quanto a tasso di razzismo, bullismo, machismo, ma anche di servilismo nei confronti dei potenti di turno. La prepotenza esercitata ordinariamente sui soggetti considerati più deboli – donne, omosessuali, immigrati, persone più fragili – è incardinata nella strutture profonde che sostengono la nostra socialità e si manifesta attraverso una fenomenologia articolata: dalla legislazione razzista in vigore all’uso commerciale e politico del corpo femminile, dal senso comune pesantemente omofobico alle condizioni dei detenuti nelle carceri, dal plauso mediatico per gli arrampicatori e i furbi allo scherno per gli umiliati e gli offesi, dal bellicismo permanente dei governi alla mano spesso oltremodo pesante delle forze dell’ordine e via elencando. A volte, poi, la prepotenza diventa violenza conclamata ed emerge drammaticamente, come la punta di un icesberg, agli onori della cronaca. Solo allora viene presa in considerazione da media e legislatori, ma spesso solo per diventare materiale utilizzabile nell’orientare temporaneamente (e selettivamente) l’indignazione collettiva e per fare scattare misure emergenziali (e, in certi casi, impostare anche le campagne elettorali) volte sostanzialmente a coprire l’incapacità di fondo – e spesso la non volontà – di leggere la realtà e promuovere i cambiamenti veri nelle viscere della società. Come se con l’emergenza si potesse sconfiggere la permanenza, senza alcun lavoro in profondità. Continua a leggere

Servizio Civile Nazionale: ribadita l’identità, manca la pari dignità

Il Servizio Civile è un “autonomo istituto repubblicano di difesa civile, alternativa a quella militare.” E’ la definizione che ne danno le nuove Linee guida per la formazione generale dei giovani in servizio civile nazionale emanate il 19 luglio scorso con decreto del capo del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale, Paola Paduano. Si tratta di un documento importante che, innovando le precedenti “linee guida”, fa uno sforzo culturale per ribadire e consolidare l’identità del servizio civile in quanto “istituzione deputata alla difesa della Patria intesa come dovere di salvaguardia e promozione dei valori costituzionali fondanti la comunità dei consociati e, quindi, di difesa della Repubblica e delle sue istituzioni, così come disegnate ed articolate nella Costituzione”. Con l’aria bellicista che tira dalle parti del Ministero della difesa, quest’idea di difesa della Patria – “da interpretare in senso moderno, libero da retoriche del passato” (come sottolinea lo stesso documento ndr) – non è affatto scontata, tutt’altro. Continua a leggere