Ma la guerra NO! L’epica dimenticata di Mario e Fermo

introduzione al Seminario storico “Né un uomo, né un soldo: l’opposizione popolare alle prime guerre dell’Italia unita” di sabato 23 febbraio 2013 (pubblicata su “Pollicino gnus – Ma la guerra no! Una storia antimilitarista a Reggio Emilia”, 213/13)seminario_storico

Quando decidemmo di svolgere il primo seminario storico su Mario Baricchi e Fermo Angioletti il 25 febbraio dell’anno scorso, nell’anniversario della loro morte avvenuta il 25 febbraio del 1915, non sapevamo ancora che quella data avrebbe coinciso con la giornata di mobilitazione nazionale “Taglia le ali alle armi” per fermare l’acquisto dei cacciabombardieri F-35. Quella coincidenza ha riconsegnato ad alcuni degli organizzatori una giornata densa di un doppio impegno, ma coerente nelle sue finalità: al mattino la raccolta di firme contro gli armamenti in piazza Martiri del 7 luglio, al pomeriggio il seminario per riportare alla memoria la storia di una tragica giornata di lotta di quasi un secolo fa, di fronte al Teatro Arisosto, contro l’ingresso della Patria nella “Grande guerra”. Tra i due  impegni un filo rosso di continuità.

La “Grande guerra” fu chiamata così non solo per la sua dimensione intercontinentale ma sopratutto per la capacità distruttiva su larga scala messa in campo dagli eserciti. Quella guerra provocò la repentina riconversione delle moderne invenzioni tecniche in strumenti bellici, finalizzati al terrore di massa. Le nuove fabbriche fordiste – chimiche, meccaniche, areonautiche e navali – furono rapidamente convertite al servizio delle armi chimiche, dei carri armati, degli aerei da combattimento, dei sottomarini da guerra, moltiplicando la produzione in tutti i settori. La società e l’economia intera vennero coinvolte nello sforzo bellico e la guerra diventò, per la prima volta, di massa e totale. Un salto di qualità distruttiva definitivo, con 16 milioni di morti complessivi in quattro anni, che da allora in poi sarebbe stato sempre più amplificato, in un’escalation senza fine di armamenti, morte e distruzione. Fino ai campi di sterminio, fino ad Hiroshima e Nagasaki, e poi all’equilibrio del terrore, al napalm, all’uranio impoverito, alle armi battereologiche, ai cacciabombardieri nucleari, ai droni telecomandati…In un vortice di violenza, presente sia quando le armi iper-tecnologiche vengono usate ai quattro angoli del pianeta, sia quando si accumulano e praparano le guerre, sottraendo ingenti risorse alle spese sociali e colonizzando la cultura diffusa che non pre/vede e, quindi, rende possibili le alternative. Del resto la guerra risponde alla logica del fine da raggingere che giustifica l’impiego di qualunque mezzo.  All’estremo capo contemporaneo di questo filo della ricerca del mezzo di terrore più micidiale, che ha iniziato ad essere srotolato cento anni fa, c’è oggi il folle acquisto dei caccia F-35.

Abbiamo incontrato la storia di Mario e Fermo non attraverso la Grande Storia, quella scritta nei testi “importanti”, ma attraverso le piccole narrazioni marginali e “militanti”: il racconto che ne ha fatto lo storico Marco Adorni nel numero di Pollicino gnus del marzo 2011; il loro tornare durante il percorso storico sui movimenti per la pace in Italia ed a Reggio Emilia, svolto nell’autunno del 2011, a cura dell’Infoshop Sante Vincenzi e della Scuola di Pace; la chiaccherata di fronte ad una birra nella serata antimilitarista del 4 novembre organizzata dal Movimento Nonviolento di Reggio Emilia; il breve e intenso testo per il progetto “gli occhi di” che ne ha fatto Arturo Bertoldi per l’ISTORECO . Per questo alla Scuola di Pace abbiamo deciso che era necessario approfondire di più, che era importante ricercare ancora su questa piccola grande storia del movimento antimiliarista reggiano.

Personalmente, inoltre, da non reggiano che ha scelto di vivere a Reggio Emilia oltre vent’anni fa, ho sentito il bisogno di capire perché in questa città, che ha cura attenta della propria memoria, che non dimentica i suoi tanti “martiri” – dalle vittime degli eccidi del nazifascismo ai martiri del 7 luglio ’60  – è potuta avvenire la rimozione di questa drammatica vicenda. Perché proprio Mario e Fermo, i “martiri” reggiani della pace, i primi morti in piazza del ‘900, sono stati dimenticati?

La ricostruzione quei fatti, e del contesto culturale, sociale e politico nel quale maturarono, affidata agli storici Marco Marzi, Antonio Canovi e Marco Adorni, è stato il centro del lavoro svolto all’interno del Seminario “Ma la guerra No! L’epica dimenticata di Mario e Fermo” di un anno fa. Ma da esso è giunta anche una importante sollecitazione a rendere permanete un lavoro di ricerca sulla storia dei movimenti reggiani contro la guerra, a cavallo tra ‘800 e ‘900, culminati nell’eccidio dimenticato di Mario Baricchi e Fermo Angioletti del 1915. Ed anche a costrure un percorso di preparazione al 2015, centenario dell’ingresso dell’Italia nella “Grande guerra” e  dunque anche dell’eccidio reggiano, al fine di giungere ad un ri-conoscimento da parte della Città nei confronti del martirio per la pace dei suoi giovanissimi figli Mario e Fermo.

A questo scopo, la Scuola di Pace, l’Anpi, l’Istoreco, il Centro di Documentazione Storica e Pollicino gnus hanno promosso il Seminario storico permanente che ha lavorato nel corso di questo anno per preparare il nuovo appuntamento pubblico di ricerca e riflessione Ma la guerra No!

Dopo l’approfondimento dei tragici fatti del 25 febbraio del 1915, il Seminario storico permanente ha aperto un nuovo filone di ricerca per ripercorrere le vicende delle diverse forme di pacifismo antimilitarista e popolare nella nostra città, nella loro intersezione e interazione con la nascita e l’avvio del movimento socialista, delle quali la protesta contro il comizio interventista di Cesare Battisti, con il suo tragico epilogo, furono il momento più acuto.  Su queste basi abbiamo ripreso una ricerca a più mani che, partendo dal 1861 e dall’unità d’Italia, vuole mettere a fuoco l’antimilitarismo politico e quello sociale, la renitenza alla leva ed alla coscrizione obbligatoria, l’opposizione delle donne alle guerre coloniali e a quelle successive, e tutte le espressioni di cultura popolare ispirate al bisogno (e al diritto) di pace, manifestatisi in città e provincia di Reggio Emilia, prima del 1915.  Un lavoro collettivo al quale hanno partecipato esperti e storici del socialismo e dell’anarchismo, del movimento cattolico e di quello delle donne, il cui esito è oggetto del Seminario storico del 23 febbraio di quest’anno, all’interno del più ampio cartellone di iniziative per il VII compleanno della Scuola di Pace.        

Questo impegno di ricerca, fondamentale sul piano storico, ha un valore specifico anche per l’oggi. Ricostruire le complesse e articolate vicende storiche del movimento reggiano per la pace dà spessore, legittimità culturale e proiezione nel futuro all’impegno attuale che – soprattutto in questo tempo del riarmo, nazionale e globale – mantiene intatto il bisogno di essere rinnovato, giorno dopo giorno.

Un particolare ringraziamento per l’indispensabile e appassionato contributo di ricerca va ad Eletta Bertani, Gemma Bigi, Francesca Campani, Antonio Canovi, Marco Marzi, Andrea Montanari. E a Manuel Masini per il disegno delle tavole illustrate.

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